La Basilica di San Michele Maggiore a Pavia
Nel cuore storico della città percorro il corso Strada Nuova, dove sorge l’antica università, per poi svoltare a sinistra in corso Garibaldi; qualche passo e poi svolto a destra in via San Michele e subito dopo mi trovo nell’omonima piazza. La Basilica si materializza all’istante davanti ai miei occhi con la sua facciata così unica, perché da qui non si vede il corpo della chiesa ma, appunto, la sola facciata.
Ho letto che questa facciata è malata: una sorta di cancro della pietra la consuma poco a poco, ma il bassorilievo dell’Arcangelo è ben conservato nella sua pietra calcarea, veste abiti imperiali all’uso bizantino e schiaccia il dragone apocalittico restando eretto ed immobile, ha il fior di loto nella destra ed il globo nella sinistra e guarda tutti quelli che entrano nella sua Basilica.
Basilica di San Michele Maggiore
San Michele Maggiore è un luogo molto particolare ed in parte avvolto nella leggenda. Sì, perché la Basilica che conosciamo oggi è stata edificata nel 1155 e solo Federico il Barbarossa vi fu effettivamente incoronato. Non rimane traccia della precedente chiesa, quella longobarda, di fatto eretta come cappella palatina annessa all’altrettanto scomparso palazzo reale: né dell’uno né dell’altro si conoscono, ad oggi, l’esatta ubicazione che non doveva, comunque, essere molto lontana dal luogo in cui sorge quella attuale.
Secondo la tradizione, i re longobardi venivano incoronati nella leggendaria basilica e sul loro capo era appena appoggiata la corona ferrea (chi l’ha vista sa quanto sia piccola di circonferenza, impossibile indossarla per un uomo) con valore puramente simbolico.
Con i restauri terminati nel 1875, sul pavimento della navata centrale, è stata posizionata una iscrizione per commemorare il mitico sito dell’incoronazione dei re.
All’ingresso vengo subito catturata da un’aura di mistero antico e nella silenziosa penombra l’interno si offre con tutta le sue ricchezze di tesori, a partire dal crocifisso di Teodote e dal mosaico sul pavimento dell’altare.
Iconografia dell’Arcangelo Michele in Basilica
Ma di tutto questo ed altro ancora hanno scritto e scrivono persone ben più qualificate di me. Io sono qui per l’Arcangelo, la mia è una visita mirata alla ricerca della sua iconografia. Per questa ragione ho contattato William Posla, il curatore dell’archivio della Basilica, che adesso mi aspetta pazientemente per condurmi alla scoperta di ciò che mi interessa.
La nostra visita comincia…
L’icona moderna di San Michele
Percorriamo quasi tutta la navata sinistra e ci troviamo di fronte ad una icona di grandi dimensioni raffigurante l’Arcangelo Michele. È un’opera moderna, del 2004, commissionata da Don Giuseppe Orticelli, parroco della Basilica dal 2000 al 2007, anno in cui morì all’improvviso.
L’icona mi affascina immediatamente per la dolcezza del volto ed i bei colori vividi. Michele è raffigurato secondo l’uso bizantino, indossa il “loros” sopra la tunica (greco: λῶρος era una lunga stola, stretta e ricamata, che veniva avvolta attorno alle spalle e fatta ricadere sopra alla mano sinistra.
Era uno dei capi più importanti, formali e distintivi dell’abbigliamento bizantino e veniva indossato solo dalla famiglia imperiale e da alcuni dei più alti dignitari della corte) ed il mantello detto “clamide”, un globo (ugualmente segno di potere imperiale). I capelli lunghi e fluenti sono legati da un nastro con diadema e nella destra regge un labaro che in alto termina in una piccola iscrizione con la parola “sanctus” ripetuta tre volte a simboleggiare la SS. Trinità.
Ha un piede appoggiato sul dorso del drago – che in verità non mi pare molto agguerrito. Nel volto mi pare di cogliere elementi contradditori con quello sguardo determinato e quasi corrucciato in un volto pacato e delicato, insomma un guerriero buono, positivo, ma che non abbassa mai la guardia.
Il capitello: la morte del giusto
Siamo poco distanti dall’icona e occorre alzare un poco lo sguardo per prima vedere e poi osservare con attenzione le sculture del capitello, presumibilmente coevo alla costruzione della basilica. Dal basso è piuttosto difficile scorgere tutti i particolari per cui mi avvalgo anche di un ingrandimento in cartolina.
È un San Michele vestito con una tunica quello che accorre al capezzale del giusto morente per portare con sé in paradiso l’anima dell’uomo, rappresentata da un bimbo in fasce a significare la purezza di cuore. L’arcangelo sorregge il neonato con il braccio destro, mentre con la mano sinistra infilza energicamente il demonio, conficcandogli la lancia in bocca. Michele è qui raffigurato nel suo ruolo di psicopompo, accompagnatore delle anime (ψυχοπομπός).
Affresco
Non occorre andare molto oltre e, sempre con lo sguardo all’insù, possiamo osservare un altro Michele nell’affresco posto sull’ultima vela del soffitto lungo la navata centrale, questa volta intento ad incoronare un re-imperatore, forse Federico il Barbarossa stesso, come qualcuno ha ipotizzato a causa della coloritura rossastra della barba. È un San Michele piuttosto in carne, paffuto e con delle curiose ali verdi!
Alla destra ed alla sinistra dell’imperatore i santi Ennodio ed Eleucadio compatroni della basilica. Parte dei loro nomi è ben visibile ai lati. Come da tradizione il committente dell’affresco è raffigurato inginocchiato al cospetto di tanta maestà.
William è gentilissimo, paziente ed assai preparato: è grazie a lui se riesco a scrivere tutto questo…!
L’altare maggiore
Ora saliamo nell’area dell’altare, dove non posso fare a meno di soffermarmi ad ammirare la magnificenza del mosaico del pavimento, venuto alla luce proprio grazie allo spostamento dell’altare maggiore, un massiccio elemento marmoreo con San Michele Arcangelo in bassorilievo centrale rivolto verso di noi.
È una figura che mi sembra un pochino sproporzionata, con una apertura alare esagerata, senza la spada e senza alcun drago-demonio ai piedi.
Invece, nella mano destra, regge una bilancia, la bilancia per pesare le anime ( ψυχοστασία ), operazione di cui è incaricato Michele, con satana che cerca di togliere peso al piatto con i meriti.
La figura inginocchiata davanti all’Arcangelo è il canonico Giovanni Sangregorio, il committente, che donava l’altare nel 1383.
La maestà dorata
Dietro l’altare si staglia una imponente “maestà” dorata, una costruzione lignea decisamente vistosa e di gusto barocco, complessa e articolata, che si compone di archi, cupole, piccole statue, balaustre a perdita d’occhio. Risale al 1606.
È un’effige micheliana di maniera, fin stucchevole, quella che si staglia nel bel mezzo di questa incombente “maestà”: è un guerriero vittorioso che sovrasta un improbabile dragone, brandisce la spada con la destra, levata verso l’alto in segno di sfida e vittoria, mentre con la sinistra regge la bilancia della psicostasia.
È agghindato come un centurione romano e mi colpisce una certa sua fissità espressiva.
L’ altare nuovo
William quasi se ne scordava: sempre all’interno dell’abside, alla nostra destra, si trova l’altare nuovo, che ci offre un medaglione ove Michele è riconoscibile per la simbologia tipica della spada e della bilancia, questa volta invertite fra destra e sinistra, ma non ha le ali!
Anche in questo caso è abbigliato come un guerriero dell’antica Roma, con il manto mosso ed una sorta di pennacchio in cima all’elmo. Lo sguardo rivolto in basso e non c’è traccia di esseri demoniaci ai suoi piedi in questo caso. Mi piacerebbe saperne molto di più, capire cioè il significato intrinseco di queste differenze, che penso siano frutto di un preciso progetto comunicativo da parte degli esecutori.
Affresco
Abbiamo finito con l’altare e ci dirigiamo ora verso la navata destra, soffermandoci in una cappella subito adiacente.
Sfugge agli occhi dei visitatori, poiché bisogna entrare all’interno, uno affresco datato tra 1690 il 1710.
È un ovale dai tratti e dai toni delicati, purtroppo sbiadito dall’usura del tempo, un mezzobusto con una tunica azzurra e un manto drappeggiato a destra e a sinistra in due diversi colori; l’elmo piumato mi rammenta immagini del ‘500-‘600.
Le ali sono più intuibili che visibili ma sono ben evidenti i consueti simboli della spada e della bilancia.
La vetrata
Poco oltre, nel transetto di destra, spicca la vetrata del 1861 realizzata da Giuseppe Bertini: “sancte Michael ora pro nobis” recita la scritta ai piedi dell’effigie.
Il fondo è blu brillante e fa risaltare la figura di Michele, rappresentato in abiti da condottiero dell’antica Roma.
Intorno all’elmo spicca un’aureola, simbolo della santità; un serpente in lunghe spire nere si attorciglia tra le gambe ed i piedi, ma non costituisce una minaccia, dato che la spada brandita nella mano destra è levata verso l’alto e non rivolta al serpente.
Porta qualcosa nella mano sinistra, ma non riesco a capire di cosa si tratti.
La lunetta sovrastante il portale
La visita all’interno sta per concludersi e ci dirigiamo verso l’uscita lungo la navata destra: William mi indica l’affresco nella lunetta sovrastante il portale e mi racconta che fino a non molto tempo fa, nemmeno in Basilica ne conoscevano esattamente il significato. Pare sia stato un visitatore o un parrocchiano, non ricordo bene, originario della Puglia, a darne l’interpretazione.
L’opera riprende gli eventi miracolosi di Monte Sant’ Angelo. Non mi stupisce il trovare un riferimento a Monte Sant’Angelo, data la sua centralità per il culto micheliano: si tratta di un luogo speciale, di grande spiritualità. Tra l’altro furono proprio i Longobardi ad “esportare” da Monte Sant’Angelo il culto di San Michele nel resto del loro regno e poi in Europa.
A Monte Sant’Angelo si verificarono quattro apparizioni e in tutte e quattro l’arcangelo apparve ad un vescovo. Sulla destra dell’affresco è raffigurato un vescovo a cui San Michele appare in sogno. In centro, sul fondo una cittadella, che potrebbe essere la città di Siponto, una grotta e o un toro: chiari riferimenti alla prima apparizione che viene datata al 490/492. Si vede anche una schiera di vescovi e fedeli in processione diretti verso la cittadella, fatto riferibile a tutte le prime tre apparizioni.
Il dragone dell’Apocalisse, la bilancia e la spada
La visita all’interno è finita, ma c’è ancora qualcosa che William mi vuole mostrare, una “chicca” che i visitatori un po’ distratti ignorano: l’essenziale è davanti ai nostri occhi se vogliamo vederlo… Usciamo dal lato del transetto di sinistra e ci troviamo ad osservare il curvo muro dello stesso transetto ed eccolo lì, un bassorilievo bianco, facilmente confondibile con la muratura biancastra!
Un poco logorato dal tempo questo Michele Arcangelo nella più classica delle iconografie con il dragone dell’Apocalisse, la bilancia e la spada: da lontano non si capisce se abbia i baffi o si tratti di una smorfia, ha i capelli che sembrano ricciuti, una tunica corta ed un’apertura alare ampia. Non ho la competenza necessaria per datarlo, ma mi sembra la realizzazione di un artista non troppo raffinato.
Sono entrata con Michele che mi dava il benvenuto ed ecco… esco con Michele che mi dà l’arrivederci, di questo si tratta, un arrivederci: di certo tornerò spesso in questa Basilica speciale.
Un grazie sincero a William Posla per la competenza, la disponibilità e la pazienza!
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