San Michele al Monte Barro
Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi, nel famoso incipit: “quel ramo del lago di Como…“ ci dice che esiste un secondo lago, anche se non lo menziona direttamente. Si tratta del lago di Garlate: proprio come dice il Manzoni, l’Adda, lasciato il ramo di Lecco, poco più oltre torna ad allargarsi in uno specchio d’acqua in cui il Resegone riflette i suoi denti aguzzi.
…e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. (Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, Cap. I).
Il Monte Barro è proprio lì di fronte e, accedendo da Pescate, per un breve sentiero si raggiunge la Chiesa di San Michele.
Si ipotizza che il luogo sia stato un presidio longobardo, con chiesa ed annesso cimitero: sappiamo infatti che i Longobardi, una volta convertitisi al Cattolicesimo, elessero l’Arcangelo a protettore del loro popolo e molte furono le chiese che gli dedicarono.
Abbastanza ricorrente la vicinanza di un luogo di sepoltura: Michele Arcangelo è spesso associato ai morti, essendogli attribuito, fra gli altri, il ruolo di psicopompo, di accompagnare e proteggere le anime dei giusti (vedere anche articolo circa il capitello “la morte del giusto” nella Basilica di Pavia).
Paolo Giovio, storico comasco, nel 1537 nella sua opera Descriptio Larii lacus, afferma che la fondazione della chiesa di San Michele è stata ad opera di Re Desiderio (Re d’Italia dal 756 al 774):
“Contra Leucum Montis Barri exelsa cacumina assurgunt; in dextero Barri homero Michaeli templum costituit Desiderius Longobardorum rex ultimus”.
Gli atti della Visita Pastorale del Card. Federico Borromeo (1608) descrivono in modo abbastanza dettagliato la chiesetta: una unica navata rivolta a est, totalmente scoperta e con la porta priva di battenti come di qualsiasi ornamento.
Fu la devozione per i morti lì sepolti lungo i secoli e anche nello stesso Seicento a causa delle pestilenze ad ispirare la restaurazione dell’oratorio. Fu grazie al generoso contributo del notaio galbiatese Francesco Spreafico che l’oratorio venne completamente ricostruito in forma ottogonale e non più rettangolare (1682).
Nel 1718 si iniziò l’edificazione della nuova chiesa, sempre per volontà dello Spreafico, che con il suo testamento dispose che metà dei suoi beni venisse destinata all’edificazione del santuario di San Michele. I lavori si conclusero nel 1752, ma la chiesa rimase incompiuta, non fu mai completata nelle finiture, negli arredi, nella pavimentazione, nella copertuta. Non fu quindi mai aperta al culto.
Costituisce comunque un esempio affascinante di barocco lombardo del primo settecento a pianta ottogonale e croce greca, come nella tradizione delle chiese cimiteriali. La copertuta a capanna crollò nel 1939 e da allora il processo di degrado progredì sempre di più. Soltanto di recente, nel 2006, il Parco Monte Barro avviò i lavori di pulizia, restauro e consolidamento del monumento che si conclusero nel 2008, restituendo alla comunità il grandioso edificio.
Il modo migliore per apprezzarlo? Ascoltare un concerto di musica celtica all’imbrunire, seduti fra le mura imponenti con lo sguardo all’insù a contemplare i colori del cielo cambiare dall’azzurro intenso fino al blu cupo e poi al nero punteggiato di stelle. Una serata magica che consiglio a tutti!