San Michele al Monte: una insolita iconografia
San Michele al Monte (Porto Valtravaglia, Va)
Ho ancora ben impressa nella memoria la mia prima volta in quel dell’Alpe San Michele, nel luglio del 2018. Sapevo benissimo dove si trovasse Porto Valtravaglia, ma dell’Alpe San Michele non avevo sentito mai parlare.
Per non sbagliare mi ero affidata a Google-Map che mi fece percorrere un itinerario da Brissago: nulla di che, se non si fosse trattato di una straduccia tutta curve e strettissima, di quelle dove tieni le dita incrociate perché nessuno arrivi in senso contrario!
Ero e sono avvezza alle strade di montagna, ma quella fu davvero un’impresa… Nel rientrare sono scesa in direzione Porto Valtravaglia, ma ho solo trovato nuove curve e nuove strettoie.
La soluzione migliore per arrivare quassù è di salire al borgo di Arcumeggia (che merita una visita!), parcheggiare, e percorrere a piedi i 4-5 facilissimi chilometri fino all’alpe San Michele. Quattro case, un bar-ristorante, ampi parcheggi per gli amanti del trekking, splendide visuali del sottostante lago Maggiore. E poi, naturalmente, la cappella dedicata all’arcangelo.
Come ben riportato nel cartello antistante la chiesa, si tratta di una costruzione originaria del X-XI secolo in stile romanico recentemente restaurata (2000-2005), dopo secoli e secoli di abbandono.
La storia
San Colombano, missionario irlandese, costretto a fuggire dalla Francia coi suoi seguaci, giunse a Milano e sotto protezione de re longobardo Agilulfo, costituì un gran numero di eremitaggi dove insediò i suoi monaci.
Il regno longobardo era costituito da province divise in Fare a loro volte suddivise in Arimannie, le quali erano composte da gruppi famigliari legati alle terre coltivate, ai boschi e ai pascoli: i “Gau”. Per i longobardi, l’Alpe San Michele era un Gau d’alpeggio composto da rustiche fattorie di capanne.
Probabilmente qui si insediò uno dei monaci di San Colombano, prima in una grotta nelle vicinanze (dove anni fa furono rinvenute alcune ceramiche e strumenti del VI°-VII° secolo d.C.) quindi con l’aiuto dei locali si iniziò a costruire una cappelletta. Sappiamo che i Longobardi, quando abbandonarono l’arianesimo per il cattolicesimo, elessero Michele a loro santo patrono, quindi la dedicazione della chiesetta potrebbe confermarne le origini longobarde.
L’interno della chiesa
La cappella è a navata unica, con l’abside affrescata con un bel cielo azzurro stellato.
In controfacciata campeggia questo affresco, una iconografia dell’Arcangelo assolutamente insolita (almeno lo è per me).
Non ho trovato molte informazioni, dovrebbe risalire al XII sec. – pieno Medioevo. Niente a che vedere con la tradizionale immagine dell’Arcangelo in fogge militari così spesso ricorrente.
E mi stupisce il fatto di trovare questa immagine proprio in un luogo dei longobardi, forse il popolo che più ne esaltò il carattere “guerriero”. Sembra quasi coperto di piume (mi ricorda vagamente i Serafini di San Pietro al Monte). Ma sarà incompiuto, con quella gamba appena disegnata e nuda e la lancia appena tratteggiata?
Quel che resta di un affresco raffigurante San Michele con gli altri arcangeli e l’offerente “DOMINICUS CUSSTOS”. Si possono scorgere i piedi e una parte dell’abito con a fianco le lettere del nome “MI EL”. Si fa risalire al XII sec.
La Madonna in trono con S. Antonio abate e S. Bernardo, opera di Guglielmo da Montegrino (1517).
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