Significato del nome San Michele Arcangelo

Incominciamo ad analizzare il significato del nome:
Michele in ebraico: מִיכָאֵל‎? [mixaˈʔel]
in greco antico: Μιχαήλ [Mikhael]
in latino viene tradotto con “Quis ut deus?” [Chi come Dio?]
in arabo: ميخائيل [Mīkhā’īl]

Arcangelo è una parola di origine greca, composta
verbo ἀρχειν [archein], che significa guidare, comandare
sostantivo ἄγγελος [anghelos] cioè messaggero, nunzio e poi angelo.
Arcangelo è dunque l’angelo-capo.

L’appellativo «santo» rinvia ad una sorta di umanizzazione. Il fatto di avere santuari dedicati, caratteristiche patronali e taumaturgiche, lo pone in una condizione ben differente rispetto alla folta schiera degli Angeli. Questo avviene anche per gli altri due Arcangeli, Gabriele e Raffaele, ma nel caso di Michele la condizione è ancora più evidente.

Malak, il messaggero: nella Bibbia, fin dalla «versione dei Settanta» (Alessandria III-II sec. a.C.) è stato tradotto con αγγελος, poi latinizzato in angelus.

Alcuni etimologisti lo hanno posto in rapporto con l’iranico angaros a sua volta collegato con la parola anghiras, un ordine di sapienti indiani al vertice del quale stava il dio del fuoco (non credo sia opportuno andare oltre, sarebbe un azzardo).

Gli angeli cristiani vanno identificati con i biblici malakhim (pur con le innegabili analogie formali e funzionali anche con la tradizione greco-ellenistico-romana di geni ed eroti).

La Bibbia è ricchissima di presenze angeliche sia nel AT che NT. Nel solo AT la parola malak compare ben 215. Va notato un particolare importante: gli angeli non hanno nome e lo stesso Michele è nominato raramente nella Bibbia.

San Michele nella Bibbia

Nel libro di Daniele: Il protettore del popolo ebreo
10, 13 “…però Michele, uno dei prìncipi supremi, mi è venuto in aiuto…
10, 21 “…nessuno mi aiuta in questo, se non Michele, il vostro prìncipe”.
12, 1 “Ora, in quel tempo sorgerà Michele, il gran prìncipe, che vigila sui figli del tuo popolo. Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro.

Lettera di Giuda, 9 – Il culto dei morti
quando l’Arcangelo Michele in contrasto con il diavolo discuteva per avere il corpo di Mosè non osò accusarlo con parole offensive ma disse TI CONDANNI IL SIGNORE!

Apocalisse di San Giovanni 12, 7-8 – La lotta contro il male
Scoppiò una grande guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu più posto per loro in cielo”.

Antecedenti nelle religioni politeistiche dell’antichità

Ho letto i testi di alcuni studiosi che sostengono il culto micheliano “potrebbe”, in qualche modo, aver ereditato elementi dalle precedenti religioni politeistiche. Forse si può anche pensare che, antropologicamente, l’uomo è sempre lo stesso, con le stesse aspirazioni e tensioni spirituali, che prendono forma in modo differente, in relazione alla cultura ed alla società alle diverse altezze cronologiche.

Tra gli “incarichi” di Michele ci sono quelli di psicopompo, cioè di accompagnare le anime dei giusti al cospetto di Dio proteggendole dal demonio e della “pesatura delle anime” (iconografia con la bilancia). Ecco qualche antecedente.

HERMES (il Mercurio dei Romani) era per definizione il dio del limen, della soglia. Non a caso le erme erano appunto le statue/colonne dedicate al dio che venivano poste lungo le strade per indicare posti precisi, delimitare i confini di una città etc. Anche il passaggio all’aldilà è una soglia, ed infatti Hermes riveste l’importante ruolo di psicopompo, colui che accompagna le anime nel viaggio nell’Ade.

Ecco come ne parlano Omero e poi Virgilio.

e prese la verga con cui gli occhi degli umani affascina, di quelle che vuole, e può svegliare chi dorme

Omero, Odissea libro V 47-48

poi prende la verga; con quella egli richiama dell’Orco le anime pallide, altre ne manda nel triste Tartaro, dà e toglie il sonno e riapre gli occhi dei morti

Virgilio, Eneide libro IV 241-244

La psicostasi nel libro dei morti dell’antico Egitto

La drammatica scena della pesatura del cuore del defunto, o psicostasia, è fra le consuete illustrazioni dei Libro dei morti. Mostra Anubi intento a compiere la misurazione per determinare se l’anima giudicata fosse degna di accedere al regno di Osiride, illustrato alla sinistra, mentre a destra Thot prende nota. Il mostro Ammit, sotto la bilancia, è pronto a divorare il cuore del defunto.

Secondo la religione egizia, Il cuore di ogni defunto veniva soppesato, nella “Sala delle due Verità”, o “delle due Maat”[29] sul piatto di una bilancia custodita da Anubi: sull’altro piatto stava la piuma di Maat[8]. Il peso del cuore non doveva superare quello della piuma. Questo è il motivo per cui il muscolo cardiaco non veniva asportato dalla salma durante la mummificazione, a differenza di tutti gli altri organi; il cuore era infatti considerato la sede dell’anima.

Se il cuore risultava dello stesso peso della piuma di Maat, o più leggero, ciò significava che il defunto aveva condotto una vita virtuosa e sarebbe perciò stato condotto nei campi Aaru, luogo di beatitudine, presso Osiride. Se invece pesava più della piuma, il cuore veniva divorato dal mostro Ammit e il defunto era condannato a rimanere in eterno nel Duat, senza speranza d’immortalità

Esculapio

È un personaggio della mitologia greca. Figlio di Apollo, è un semidio e dunque uomo mortale.

Era stato istruito nella medicina dal centauro Chirone.

Divenne poi il dio della medicina, come il padre Apollo, ed era una divinità molto adorata dal popolo, in quanto benevola con gli infermi.

Podalirio, suo figlio, era pure medico ed era adorato come medico-guaritore anche nell’area del Gargano, prima dell’avvento del Cristianesimo.

Ricordiamo che anche Michele era invocato come medico celeste soprattutto in area bizantina.

Mitra e il toro

Il mitraismo fu un’antica religione ellenistica, basata sul culto di un dio chiamato Meithras che apparentemente deriva dal dio persiano Mitra e da altre divinità dello zoroastrismo.

In ogni tempio mitraico, il posto d’onore era occupato da una rappresentazione del dio Mitra, in genere raffigurato nell’atto di uccidere un toro sacro, (tauroctonia): questa scena rappresenterebbe un episodio mitologico, più che un sacrificio animale.

Sappiamo che il toro è un simbolo presente sia nelle leggende di fondazione di Monte Sant’Angelo che in quelle di Mont Saint Michel.

La diffusione del culto di San Michele in Italia e poi in Europa

Si hanno notizie del Gargano come montagna sacra caratterizzata dal culto dedicato a Calcante e a Podalirio (medico figlio del semidio Esculapio).

All’epoca della prima apparizione, i culti pagani erano ancora presenti: la Chiesa, nell’evangelizzare questa terra ha dovuto tenere conto della viva sensibilità religiosa, per non urtarla. Ha quindi preferito valorizzare quei luoghi adattandoli al nuovo culto piuttosto che distruggerli.

La prima apparizione dell’Arcangelo è collocata intorno al 490: Monte Sant’Angelo è sicuramente uno dei primi luoghi in cui il culto micaelico giunse in Europa dall’area bizantina.

Nell’affresco di Lucano da Imola (1550) è rappresentata la prima apparizione sul Gargano. Il ricco pastore, di nome Gargano, è alla ricerca di un toro andato smarrito.

Con i suoi contadini va alla ricerca dell’animale ed alla fine lo trova accucciato presso una grotta: nonostante tutti i tentativi di Gargano, il toro non si muove. Esasperato, il pastore decide di ucciderlo, piuttosto che lasciarlo libero: ma la freccia scoccata, anziché colpire l’animale, torna indietro e ferisce Gargano, senza ucciderlo.

Attonito e spaventato, Gargano si rivolge al vescovo di Siponto (oggi Manfredonia), Lorenzo Maiorano per chiedere consiglio. Il vescovo ordina tre giorni di digiuno e preghiera e l’arcangelo gli appare in sogno indicandogli che la grotta in cui il toro era stato ritrovato era luogo sacro.

A questa prima apparizione ne seguirono altre due ed una ancora successiva; secoli dopo.

Ancora Lucano da Imola ci illustra l’apparizione di Michele a Roma. Era il 590 d.C. e una grave pestilenza affliggeva la città eterna. Il Papa Gregorio I organizzò una solenne processione penitenziale; quando la processione giunse in prossimità della Mole Adriana, il Papa ebbe la visione dell’Arcangelo Michele che rinfoderava la sua spada: venne interpretato come un segno divino che preannunciava l’imminente fine dell’epidemia, cosa che effettivamente avvenne. Da allora la Mole Adriana venne chiamata Castel S. Angelo.

Su uno dei punti più alti del Castello venne eretta una statua lignea dell’Arcangelo nell’atto di rinfoderare la spada. Questa venne successivamente sostituita da quella in bronzo che ammiriamo tuttora.

Nei Musei Capitolini è conservata una pietra circolare con impronte di piedi che, secondo la tradizione, sarebbero quelle lasciate dall’Arcangelo quando si fermò per annunciare la fine della pestilenza.

La «Legenda aurea» che il domenicano Jacopo da Varazze scrisse intorno al 1260, parlando dell’Arcangelo Michele, elenca per l’Occidente tre luoghi sacralizzati dalle apparizioni dell’arcangelo: il Gargano, dove apparve intorno al 490; Roma, dove si manifestò nel 590 ai tempi di Gregorio Magno, e Mont Saint Michel dove apparve nel 708. Non fa menzione della Sacra.

Senza dubbio il Gargano e Roma ebbero un ruolo fondamentale per la diffusione del culto micheliano in Italia e in Europa.

I LONGOBARDI

Furono i Longobardi, a partire dal VII secolo, a conferire al santuario del Gargano e a Michele, la venerazione del quale avevano appreso sia dai Bizantini che dai Goti, una fama che fino ad allora non aveva mai avuto.

Re Grimoaldo introdusse per primo Michele nel mondo longobardo, a seguito della sua vittoria sui Greco-Bizantini: si venne stabilendo un legame profondo, una sorta di alleanza, tanto che l’Arcangelo divenne il protettore del popolo. Fu Grimoaldo a far erigere nel palazzo reale pavese una cappella dedicata a Michele.

La cappella era antecedente la basilica attuale, che fu invece, edificata nel 1155, e nella quale dovrebbe essere stato incoronato Federico Barbarossa (il nonno di Federico II di Svevia, “stupor mundi”).

Durante il regno di Cuniperto l’immagine dell’Arcangelo venne rappresentata sul retro delle monete.

È importante ricordare che alcuni studiosi medievisti hanno ridimensionato la caratterizzazione longobarda del culto sia cronologicamente che geograficamente.

I CAROLINGI

È noto quanto fosse rilevante, ai fini dell’accentramento del potere, l’ammantare di sacralità la figura dell’imperatore, Carlo Magno: Stato e Chiesa erano in simbiosi. In età carolingia i culti maggiormente appoggiati dalle autorità erano quelli di San Michele e di San Salvatore.

Seguì una nuova fase di espansione del culto nel secolo X, ancora collegabile a tentativi di sacralizzare la figura dell’imperatore.

Ma fu il santuario di Monte Sant’Angelo a svolgere fin dai primi secoli del medioevo un ruolo chiave nel caratterizzare il culto di Michele e da lì si diffuse in tutta l’Europa attraverso le vie di pellegrinaggio (la Sacra di San Michele della Chiusa venne infatti poi edificata lungo la via Francigena, a metà strada tra i due luoghi micaelici di Mont Saint Michael e Monte Sant’Angelo).

Secondo una corrente di pensiero, il culto fu caro anche a San Colombano ed ai suoi monaci di Bobbio. Il monaco missionario irlandese eresse nel 615 a Coli l’eremo di San Michele, a breve distanza dalla sua abbazia a Bobbio, l‘eremo di San Michele. Altri studiosi, invece, ritengono che il monastero di Bobbio cercò di proporsi come polo cultuale micaelico in antagonismo alla vicina chiesa di San Michele di Curiasca, che attirava i viandanti diretti verso i maggiori centri di pellegrinaggio.

Va, infine, ricordato che il Concilio lateranense del 746 limitò il culto ai soli tre arcangeli: Michele, Gabriele, Raffaele per limitare una tradizione angeologica suscettibile di sviluppi magico-ereticali.